Mario Draghi vittima di cybersquatting: chi si è preso il dominio mariodraghi.it
Si chiama cybersquatting, tradotto in italiano è occupazione indebita cibernetica, noto anche come domain grabbing, fenomeno poco conosciuto per la maggior parte dei navigatori del web, ma sorprendentemente diffuso e non meno pericoloso delle più comuni truffe o minacce per la privacy personale. Il cybersquatting consiste nell’accaparramento di domini internet basati su nomi di marchi, persone - per lo più nomi noti - aziende o comunque termini che possano risultare credibili per gli occhi degli utenti e spendibili per le tasche dei consumatori più inesperti (ne è un esempio il typesquatting, un particolare tipo di cybersquatting che consiste nel registrare il dominio con un piccolo refuso nel nome, tipico della battitura manuale, quasi impercettibile, che rimanda a un sito identico all’originale, ma fasullo, con il frequente - ma non unico - scopo di ottenere informazioni personali illecitamente). Il tutto senza il consenso del diretto interessato. Chiaramente.
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Può succedere, dunque, che un qualsiasi individuo o una società registri (spesso anche per poche decine o centinaia di euro) un dominio con un determinato nome in tempi non sospetti, e che nel momento in cui la persona interessata voglia realizzare il proprio sito personale trovi quel dominio occupato, e sia costretto a dover contattare chi lo ha preceduto, per sborsare cifre di gran lunga superiori al costo di quel dominio, o a intraprendere un’azione legale per riappropriarsi della sua identità digitale.
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Uno dei casi più recenti è quello dell’attuale incaricato Premier Mario Draghi: il dominio www.mariodraghi.it è risultato essere già occupato, poiché è stato acquisito il 2 febbraio del 2014 da una società con sede a Cipro, la stessa che nell’agosto del 2018 è stata al centro di una contesa legale per la riassegnazione dei domini La5.it, topcrime.it e italia2.it, reclamati da Rete Televisive Italiane Spa.
In sostanza, non può esistere al momento un sito ufficiale di Mario Draghi con estensione .it, poiché posseduto da terzi, con il rischio che questo sito possa diventare fonte di fake news o contenuto inappropriato, sotto l’etichetta di un nome illustre e, per questo, potenzialmente credibile come fonte dell’informazione o del contenuto stesso.
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Non è il primo (e non sarà l’ultimo) caso di domain grabbing, per fare qualche esempio: nel 2000 accadde a Madonna, alle prese con un illustre habitué del cybersquatting (Dan Parisi, che nel 1997 si era appropriato del dominio .com della Casa Bianca) nella contesa del dominio madonna.com, posseduto da Parisi, che ne aveva fatto un contenitore web di foto a luci rosse. Di nuovo nel 2007 accadde a Ringo Starr, qualche mese prima a Julia Roberts con juliaroberts.com. Per non parlare dei brand di lusso: da Louis Vuitton a Nike, da Hermès a Apple.
“Immaginate di digitare il vostro nome in Rete e trovare un sito che porta proprio quel nome, o il nome della vostra azienda, ma non siete voi, che contiene notizie inappropriate, su potenziali complotti contro il popolo, o dà indicazioni su come guarire da una patologia seria o, ancora, vende prodotti usando il vostro nome. Il grabbing dei domini è una pratica che rischia di ledere la proprietà intellettuale e l’immagine di chiunque, la propria identità digitale, in un contesto come quello della Rete dove la reputazione e l’identità digitale sono da rispettare e da preservare, e sono già oggetto di innumerevoli e costanti attacchi da parte di malintenzionati del web – spiega Anna Vaccarelli, Responsabile Unità Relazioni Esterne, Media, Comunicazione e Marketing del Registro .it, l’anagrafe dei domini punto it, organo tecnico che opera all'interno dell'Istituto di Informatica e Telematica del CNR – Un sito web è come una casa o l’edificio di un’azienda e il nome a dominio è l’indirizzo con cui farsi trovare. Il sito è quindi il primo strumento da cui partire per costruire una solida presenza su internet. Uno spazio personale, gestito interamente dall’autore e ‘proprietario di casa’, senza che altri possano usarlo per farsi vedere o sentire. Il nome a dominio del proprio sito non serve solo per distinguersi, ma definisce l’identità costruita in Rete.”
Il punto it è la casa del Made in Italy digitale, un marchio di fabbrica, un distintivo per prodotti, servizi, imprese, liberi professionisti, chiunque operi nel contesto nazionale e voglia esistere in Rete. Ciò lascia intendere i rischi e i pericoli nei casi in cui un determinato dominio venga indebitamente registrato da società o privati che mettono in vendita, per esempio, materiale contraffatto. Un rischio che si moltiplica a dismisura in un momento storico in cui il commercio online e l’approdo digitale sono diventati leva quasi insostituibile e provvidenziale per il business di privati e aziende. Eppure, se in questo momento digitiamo madeinitaly.it si trova un sito Under Construction, se si digita madeinitaly.com si scopre un sito che esiste già, ma non ha una paternità dichiarata, o un contenuto fruibile.
Per fare un altro esempio più che attuale: una recente elaborazione dell’Osservatorio Covid del Registro .it ha quantificato in quasi 4000 i domini registrati tra febbraio 2020 e maggio 2020 con legame più o meno diretto alla pandemia esplosa proprio in quel periodo. La top ten dei termini usati è: coronavirus, covid19, covid, mascherine, mask, virus, mascherina, italia, free, antivirus. L'analisi ha evidenziato che, in maggioranza, questi nomi sono stati registrati da persone fisiche italiane e straniere, seguite da società/imprese individuali e liberi professionisti; pochissimi domini sono risultati assegnati a enti no-profit. “Non è da escludersi – aggiungono dal Registro .it – che dietro ad alcuni di questi nuovi domini si celino registrazioni speculative e malevole; anche a livello internazionale è stato appurato che dietro ad alcuni nuovi domini legati alla pandemia si possano celare spammer o cyber criminali."
I rischi di incappare in una truffa o in un tentativo di furto del nome o, infine, in un utilizzo indebito del proprio marchio o della propria identità digitale esistono e sono concreti, come anche le misure per tutelarsi nel caso si renda necessario.
“Esistono due procedure per avvalersi in sede giuridica della propria identità in Rete e rivendicare la proprietà di un dominio: sono l’arbitrato e la riassegnazione – spiega la Vaccarelli – Nel primo caso un collegio di arbitri dirime la controversia, si mette a disposizione degli utenti la cosiddetta procedura di opposizione, consentita sia in caso di ricorso alle procedure extragiudiziali che giudiziali, che ‘congela’ l’assegnazione del dominio fino alla soluzione della controversia e permette a chi l’ha promossa di esercitare un diritto di prelazione sull’eventuale nuova assegnazione. Nel secondo caso entrano in gioco appositi studi professionali, chiamati Prestatori del Servizio di Risoluzione delle Dispute, o più brevemente i PSRD, allo scopo di emettere un giudizio che porta eventualmente alla riassegnazione del dominio alla parte che lo ha contestato, previa verifica che un dominio sia effettivamente stato registrato e mantenuto in malafede.”
Sul sito del Ministero della Giustizia si prende in prestito la definizione del dizionario Garzanti per definire il cybersquatting un “atto illegale di pirateria informatica, che consiste nell’appropriarsi del nome di un dominio già esistente per poi rivenderlo ad un prezzo molto più alto”, una condotta che chiama in causa diversi articoli del codice penale e del codice civile in materia di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi, di opere dell’ingegno o di prodotti industriali, truffa e diritto al nome.
Per questo, nel mondo della digitalizzazione e della costante presenza in Rete, è importante conoscerne i rischi per sapere come evitarli, da un lato per tutelare e curare la propria identità digitale, ormai innegabilmente e irrimediabilmente rilevante tanto quanto la stessa identità fisica, dall’altro per proteggersi ed essere in grado di utilizzare in maniera consapevole la Rete come preziosa risorsa tecnologica da valorizzare.