Non è L'Arena, sul vaccino Covid Crisanti umilia i colleghi: "La ricerca con i quattrini pubblici, vanno condivisi i dati"
“Senza trasparenza, non farò il vaccino per il Covid. In Italia, ambiente scientifico provinciale”. Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova, in collegamento con “Non è l’Arena”, la trasmissione di Massimo Giletti su La 7, ribadisce la sua posizione dopo la polemica sui vaccini e sperimentazione.
Nella puntata di domenica 29 novembre di “Non è l’Arena”, il virologo si è collegato via Skype con il conduttore e ha confermato la sua posizione: “Ho detto che vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia perché gran parte di questa ricerca è fatta con quattrini pubblici e io i dati non li ho visti. Se non li conosco, non mi vaccino. Non mi sembra di chiedere una cosa assurda, vorrei trasparenza e visione dei dati, vorrei capire come è fatto quel campione e se ci sono sbilanciamenti. Perché sono stato attaccato? Perché l’ambiente scientifico italiano è provinciale. Il direttore del British Medical Journal è stato molto critico sulle procedure. E anche quello di Nature. Quindi mi sento in buona compagnia. Io ho chiesto solo trasparenza. Se la politica spinge per il vaccino? E’ naturale! Siamo in un’emergenza e le aspettative dei cittadini sono quelle di uscirne fuori e la politica intercetta queste aspettative. Ma voglio dire una cosa: la trasparenza genera fiducia”.
Massimo Giletti gli chiede quale sia la differenza tra i tre tipi di vaccino e Crisanti: “Esistono tre tipi di vaccino. Uno è generico, a tipo RNA e sono quelli di Moderna e Pfizer, differiscono perchè moderna sfrutta un brevetto proprio sulla stabilizzazione della molecola RNA che è molto instabile e quindi di fatto non ha bisogno della catena del freddo così estrema. Dopodiché c’è il vaccino AstraZeneca che è un vaccino a vettore virale, in pratica impacchetta, incapsula parte dell'acido nucleico del virus che non è in grado di replicarsi e stimola un'infezione. E poi c'è un terzo vaccino più tradizionale, i cui risultati non sono ancora disponibili che è fatto con componenti proteiche del virus ma di questo ne sapremo di più tra 5 o 6 mesi. La capacità di sviluppo del vaccino ha sorpreso tutti, in genere ci vogliono dai 5 agli 8 anni, qui siamo arrivati in meno di un anno. A gennaio o febbraio vedremo le prime dosi di vaccino”.
Giletti mette a fuoco anche un altro problema: l’Italia non pronta per lo stoccaggio e la distribuzione del vaccino. Crisanti risponde: “In effetti, è una sfida immane, la distribuzione a -80° impone un grande investimento. Vedremo. C’è da dire che non siamo pronti come la Germania, ma la maggior parte degli ospedali italiani ha dei frigoriferi a -80 quindi in una prima fase si potrebbe pensare di usare queste celle in stock”.