Gogna hot per una maestra
Da quanto trapela dalle aule giudiziarie, circa un fatto tanto spiacevole, quanto inqualificabile, proprio nel giorno in cui si celebra la giornata della violenza sulle donne, viene spontanea una domanda. Perché di un fatto così grave e violento nei confronti di una donna indifesa e attaccata da più fronti – uniformemente composti da esponenti di entrambi i generi – si risponda giudizialmente solo per diffamazione, violenza privata e divulgazione di materiale privato o di aver obbligato la ragazza alle dimissioni.Senza contare il risarcimento operato dall’autore del reato che gli ha fruttato il beneficio della messa alla prova di un anno ai servizi sociali.
Con questi quattro elementi possiamo interrogarci sulle conseguenze che ha visto doppiamente danneggiata la vittima di un comportamento che, solo di recente, è stato configurato come reato autonomo e ben delineato nei suoi tratti distintivi. Molto facciamo, anche attraverso una forte simbologia che nell’immediato ci colpisce, nei due giorni dedicati a questo argomento uno dei quali è proprio oggi.
Gli oggetti di colore rosso – dalle scarpe, alle panchine, ai drappi – se richiamano l’attenzione su una tipologia di violenza sulle donne, altre ne escludono.
Prima fra tutti il dileggio che della vittima si fa attraverso la pubblicazione di foto intime e private scattate in un momento in cui tanto era condiviso in due. La fine di un rapporto che legittima la diffusione delle foto tra gli amici del calcetto, come se quella con cui si era condivisa tanta intimità fosse il nemico da annientare in una guerra che lei non intendere combattere e senza un reale motivo che, forse, solo le indagini giudiziarie riveleranno.
Il riferimento è al revenge porn, assurto agli onori delle cronache soltanto al termine di una parte dei procedimenti giudiziari, che ha comportato per la vittima l’immediato licenziamento dal posto di lavoro – un asilo infantile – come se gli atti che i fotogrammi hanno immortalato fossero stati fatti alla luce del sole ed in aggiunta alla professione legittimamente svolta con i piccoli utenti del mattino. Come se la propria intimità che si condivide con una sola persona fosse indissolubilmente legata alla professione svolta e, al contempo, la professione svolta, condizionasse gli atteggiamenti intimi da tenere nel privato che più privato non si può.
Un sistema di vasi comunicanti, secondo i detrattori, capace di inficiare definitivamente il rapporto con i piccoli accuditi, condizionandoli non si sa come.
La maestra è stata licenziata in men che non si dica per la segnalazione fatta alla Dirigenza scolastica da una mamma, dopo aver scoperto queste foto sul telefono del marito che le aveva ricevute dall’autore del reato. Il tam tam nella chat di classe è stato fulmineo e l’adesione alla richiesta avanzata alla scuola degna della popolarissima Bocca di Rosa di De Andrè. Con un numero di parlamentari favorevoli di 461 su 461 votanti fu approvata la legge dopo il drammatico caso simile della 31enne che nel 2016, stremata dalla gogna pubblica, decise di impiccarsi.
Ora, questo reato che prevede il carcere da 1 a 6 anni ed una multa da 5 a 15 mila euro perché deve essere differentemente qualificato e rischiare da essere celebrato con un drappo rosso che simboleggia il femminicidio………a posteriori?