guerra sui numeri
Arcuri smentito anche dai medici. Rivolta per le terapie intensive
Alla fine è dovuto intervenire il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, per chiarire il caso terapie intensive. Sono 9.931 i posti di terapia intensiva attivi in Italia, secondo l’ultima rilevazione. Gli 11mila di cui parlava ieri il commissario per l’emergenza coronavirus Domenico Arcuri "sono i posti letto in terapia intensiva attivabili", ha spiegato Brusaferro in conferenza stampa al ministero della Salute dopo la polemica sul commissario Covid del governo che aveva detto che la pressione sulle terapie intensive è oggi inesistente.
A stretto giro era arrivata la replica del segretario nazionale dell'Anaao Assomed Carlo Palermo. "Quando si indicano in oltre 11 mila i posti totali di terapia intensiva si deve specificare che circa 3.500 sono solo sulla carta - sottolinea - attivabili in condizioni critiche e non immediatamente, comprendendo letti in via di approntamento, le cui gare sono partite solo ad ottobre, nonché letti sub-intensivi e chirurgici già utilizzati nelle ordinarie attività ospedaliere. Senza contare che, in ogni caso, non sarebbe disponibile il personale medico e infermieristico necessario per la cura e l’assistenza dei pazienti, a causa di un decennio di totale fallimento nella programmazione dei fabbisogni specialistici".
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Oggi arriva la replica di Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori Aaroi-Emac. I dati disaggregati relativi alle terapie intensive non ci sono, non si sa quante persone muoiono per Covid in rianimazione, ma la sensazione dei medici è che "la pressione sia la stessa della prima ondata". "Non ci sono dati specifici - ha spiegato Vergallo - i numeri di cui disponiamo sono quelli che vengono comunicati ufficialmente. Non sappiamo quante persone muoiono in terapia intensiva e quante fuori". I dati dei flussi in entrata "dicono poco. Bisognerebbe fare un’istantanea delle terapie intensive in un determinato momento". Nello specifico, "tutte le aziende ospedaliere dovrebbero comunicare allo stesso orario quante sono le persone ricoverate in terapia intensiva", ha commentato Vergallo. "Di certo c’è che in molte regioni si è superata la soglia di allarme delle terapie intensive con oltre il 40% dei ricoverati Covid". E questo "a fronte delle dichiarazioni rassicuranti del commissario Arcuri che parla di oltre 10 mila posti in terapia intensiva. Ma se questo significa che sulla carta vengono riconvertiti 10 letti di medicina in posti di terapia intensiva allora non siamo d’accordo. Non si risolve mettendo un ventilatore davanti a un letto", ha dichiarato il presidente di Aaroi. Non solo, per Vergallo la situazione è peggiore rispetto a quella della prima ondata: "Il carico sulle terapie intensiva è uguale, quello sull’ospedalizzazione è anche maggiore e questo perché moltissimi pazienti che si rivolgono ai pronto soccorso presentano un quadro che andrebbe trattato a casa. L’aspetto positivo è che questo fa sì che si intervenga prima e si anticipino le cure, quello negativo è che aumenta il carico perchè molti pazienti si rivolgono all’ospedale perché manca la medicina territoriale".
"Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile ma in realtà nelle regioni a zona rossa la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto, ma molto pesante. Sostenere che 10.000 ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva significa pensare che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è cosi", dichiara in un videomessaggio mandato in onda ad Agorà, su RaiTre Antonio Giarratano, presidente Siaarti, sigla che riunisce anestesisti e rianimatori.
A correggere Arcuri è anche Federico Gelli, presidente della Fondazione Italia In Salute: "Il Commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri sbaglia. Il picco di pazienti Covid in terapia intensiva nella prima ondata è stato non di 'circa 7 mila' ma di 4.068, il 3 aprile. E dire che oggi non vi è pressione in questi reparti è un azzardo. Innanzitutto, come ripetuto più volte dagli stessi anestesisti rianimatori, non basta un singolo ventilatore per fare un posto di terapia intensiva. Detto questo, non si può non tenere conto anche del tasso di occupazione dei pazienti non Covid presenti in quei reparti. Le altre patologie non sono scomparse per ’magia'. Infine, va sottolineato che l’attivazione di circa 11.000 posti letto crea un problema: chi assisterà quei pazienti vista la carenza di specialisti? Come segnalato dall’Aaroi-Emac nelle scorse settimane, con gli attuali organici si riesce ad assistere circa 7.000 posti letto. Al crescere di questo numero rischiamo di avere un crollo nella qualità del servizio reso a queste persone".