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Sos dei medici del Lazio: noi in trincea senza guanti e mascherine

Antonio Sbraga
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Se fosse un Comune, la «Covid-city» laziale ormai sarebbe grande come Pomezia: ieri con 2.295 positivi, di cui 1.495 a Roma, è stata oltrepassata la soglia dei 60 mila contagiati (62.399), di cui 3018 «ricoverati con sintomi». 

Ma, per curare questo fortino assediato, cominciano a scarseggiare pure i dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari in trincea: «Invito a verificare le scorte, perché ho il timore che non ce ne siano a sufficienza rispetto alle esigenze. - avverte il presidente dell’Ordine dei Medici di Roma e provincia, Antonio Magi - Diversi colleghi mi segnalano di non averne a sufficienza o che l’arrivo ormai è a singhiozzo. Lo ricordo alla Regione, che sinora non ha mai risposto ai miei appelli sulla verifica degli approvvigionamenti dei dispositivi di protezione, i quali devono arrivare a tutti i medici di famiglia, agli specialisti ambulatoriali e a quelli ospedalieri, che sono le categorie più in difficoltà». 

Oberati dalle richieste di ricovero nei Pronto Soccorso sovraffollati dai pazienti in attesa e dalle ambulanze incolonnate davanti agli ingressi: 7 nel parcheggio del policlinico Casilino con i sospetti positivi a bordo alle ore 18. Alla stessa ora erano 494 i «pazienti in attesa di ricovero o trasferimento» in tutto il Lazio. 

La situazione peggiore all’ospedale Pertini, con oltre i due terzi degli accessi in stand-by: 55 su 73. Quattro in meno al San Camillo-Forlanini, dove c’erano 51 pazienti in cerca di un letto su un totale di 86 in trattamento al Ps. Nessun paziente in attesa, invece, all’ospedale Vannini dove sono stati allestiti «altri 146 posti Covid, ma nessun investimento sul personale: condizioni di sicurezza a rischio, mancanza di protocolli, non rispetto degli standard organizzativi - denunciano Roberto Scali, Antonio Cuozzo e Tommaso Guzzo, i rappresentanti del comparto sanità privata di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl- I lavoratori segnalano l’assenza di una procedura definitiva, sia a livello tecnico-strutturale che organizzativa, e i relativi protocolli di intervento volti a contenere le possibilità di contagio e a mantenere la salubrità degli ambienti dell’intero ospedale. Le esigenze aumentano e il personale, anche con i doppi turni, non è sufficiente a garantire la copertura richiesta dai requisiti minimi organizzativi nei reparti Covid19. Senza protocolli chiari - concludono i sindacati - l’ospedale potrebbe trasformarsi in poco tempo in un potenziale focolaio». 

Ma la direzione del Vannini respinge le accuse dei sindacati «che forniscono una rappresentazione dei fatti parziale e non veritiera, lesiva della reputazione e dell’immagine della struttura ospedaliera e frutto di una campagna mediatica volta a screditare l’operato dell’ospedale, che smentisce categoricamente quanto riportato nel comunicato e sottolinea che la struttura opera nel pieno rispetto delle indicazioni dell’ISS, del Ministero della Salute, delle Ordinanze Regionali nonché di rigidi protocolli di sicurezza interni che garantiscono la salubrità dei locali e sicurezza degli utenti e di tutti gli operatori sanitari che vi lavorano».
 

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