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Per Conte le scuole non sono focolai. Cosa non dice sui veri dati del Covid

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"Dobbiamo essere franchi sulla scuola, la ricerca e i dati dicono che non sono focolai di diffusione dei contagi. Noi cerchiamo di analizzare i dati, abbiamo un approccio pragmatico". Così il premier Giuseppe Conte difende le scelte del governo durante un collegamento in video con l’evento "Futura: lavoro, ambiente, innovazione" in cui ha dialogato con il segretario Generale della Cgil, Maurizio Landini. Insomma i dati dicono le scuole possono restare aperte, dice Conte. Peccato che i dati sui contagi Il Tempo li ha pubblicati e le conclusioni del premier suscitano più di un dubbio. 

Secondo il bollettino di sorveglianza pubblicato mercoledì dall’Istituto superiore di Sanità i positivi nella fascia di età 0-19 dal 15 agosto, quando erano 9.544, al 7 novembre sono schizzati a 102.419: una crescita del 1.073,10%, la più alta assoluta nella popolazione italiana. Incremento doppio rispetto a quello, seppur alto, della fascia tra i 20 e 29 anni. Sono dati dell'ISS, sono diversi da quelli in possesso del governo? 

 

"C’è un valore della didattica in presenza", dove la "relazione interpersonale è fondamentale", anche per questo "abbiamo dato un segnale nelle zone rosse", dove il governo ha lasciato andare sui banchi i ragazzi della "prima media, che non si conoscono, i professori non conoscevano nemmeno i loro nomi: mandarli a casa sarebbe stata una grossa perdita. Cerchiamo di mantenere questo presidio. Quel che avviene prima e dopo" il suono della campanella "può costituire dei focolai, ecco perché le regole sono fondamentali, però l’esperienza empirica dimostra che i nostri ragazzi rispettano molto le regole", ha detto ancora Conte parlando con Landini. 

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