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La riforma finanziaria di Papa Francesco e il rischio che non cambi niente

Angelo De Mattia
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Papa Francesco ha disposto il trasferimento, entro tre mesi, all’Apsa, per la gestione, dei fondi della Segreteria di Stato, secondo gli indirizzi che impartirà un’apposita Commissione nominata dal Papa stesso. In questo modo, tutte le risorse saranno concentrate nell’Apsa che si configurerà come una specie di Ministero del tesoro della Santa Sede. La decisione del Pontefice va inquadrata nel contesto delle misure progettate e in parte adottate a seguito della vicenda riguardante il palazzo londinese di Sloane Avenue e delle risultanze dei rapporti con personaggi laici i quali per lunghi anni avrebbero gestito il patrimonio riservato della Segreteria di Stato. Il Papa ha anche disposto di procedere all’uscita dalla proprietà del suddetto immobile nonché del Fondo Centurion di Malta o comunque di assumere una posizione che non coinvolga l’immagine o la reputazione del Vaticano. La Segreteria di Stato, anche per evitare commistioni di funzioni che dovrebbero invece essere svolte in un contraddittorio dialettico, verrebbe così privata di compiti di Vigilanza e controllo sugli enti della Santa Sede e su quelli ad essi collegati.

 

Si tratta di una riforma di grande portata. Per chi ha a cuore la coerenza tra il dire e il fare, tra il messaggio evangelico e l’impiego delle risorse finanziarie, si tratta di una significativa innovazione che si spera sia inquadrata in un contesto organizzativo-funzionale che preveda oggettivi, precisi, coerenti e trasparenti criteri per la selezione degli investimenti nonché controlli posizionati in punti nodali delle procedure di spesa ed «ex post», a consuntivo; controlli non formali, ma sostanziali, concernenti anche la gestione in generale. Fondamentali a riguardo sono un organigramma e un funzionigramma che non siano limitati alle sole strutture direttamente coinvolte ma che caratterizzino tutte le unità della Santa Sede. Un piano operativo annuale e uno strategico pluriennale dovrebbero essere definiti e approvati. Se si individua una unità alla quale attribuire la Vigilanza, questa deve avere soltanto una siffatta funzione, dunque essere separata da altri compiti.

Ciò può condurre all’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria costituita innanzitutto con la funzione di prevenzione e contrasto del riciclaggio in ottemperanza anche alla normativa comunitaria, Autorità ora presieduta da Carmelo Barbagallo, già capo del Dipartimento Vigilanza della Banca d’Italia. Non è chiaro se i compiti di questa Autorità saranno estesi. In ogni caso, quanto si sta evidenziando dovrebbe comportare un riesame delle posizioni assunte, sia pure a livello di indagini, nei confronti dell’Aif, posizioni dopo le quali questo organo è passato sotto la presidenza Barbagallo con un nuovo Direttore generale. Al di là della ricorrenza o no di determinati fatti, se si coinvolgono esponenti di vertice anche nella Segreteria di Stato, come le cronache non smentite riferiscono, è ovvio che non è facile chiamare a rispondere un altro organo con ben più circoscritti poteri, di fatto in una posizione sottordinata, a maggior ragione se l’organo superiore avesse dichiarato di assumersi le relative responsabilità. Sarebbe come per scelte di un Dipartimento di Palazzo Chigi si chiamasse a rispondere un ufficio della Ragioneria dello Stato. Insomma, il modo in cui si risolverà questo nodo sarà anche un test dell’importanza e dell’efficacia della riforma giustamente voluta dal Pontefice.

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