L'Italia chiusa dell'estate Covid: da Nord a Sud senza turisti
Ci sono le parole, l’economia che avrà un rimbalzo - così dice il ministro Roberto Gualtieri. Un economista, penseranno i nostri lettori. Macché, uno storico. E poi i soldi europei, una cascata di diamanti almeno stando agli annunci della politica, che dovrebbero arrivare nella primavera prossima - ma guai ad usarli per abbassare le tasse. E infine c’è l’Italia. Le sue città, i suoi borghi, le facce della sua gente, gli italiani e le italiane, con gli occhi preoccupati sopra la mascherina che copre la bocca e il naso. Chiuderli gli occhi, sulla crisi economica che ha colpito l’Italia causa coronavirus sarebbe da idioti. È da idioti. Perciò noi de “Il Tempo” li abbiamo spalancati, girando un po’ l’Italia in questa estate che sta finendo e che una vera estate, spensierata e libera, non lo è stata mai. Il nostro viaggio comincia dal sud, da Benevento, città guidata dal sindaco Clemente Mastella con passione e voglia di fare ancora democristiane, nonostante il XXI secolo. C’eravamo andati qualche anno fa a Benevento, sindaco era già Mastella, ed avevamo trovato una città vitale, un centro attivo, con negozi, attività commerciali e quella voglia di riscatto che il nostro sud spesso si porta appresso, nonostante i pregiudizi sbagliati di un pezzo d’Italia sui meridionali. Ci siamo tornati quest’anno, a fine agosto, ed abbiamo trovato, dopo il lockdown per il coronavirus, un altro mondo.
Nelle vie del centro, che dall’Arco di Traiano si snodano per le strade più antiche della città, molti fondi commerciali sono sfitti, vuoti. Difficile fare una percentuale ma sono tanti. Su alcuni fa bella mostra di sé un cartello con su scritto “affittasi”, magari già ingiallito perché esposto da un pezzo. Possono bastare i bonus per risollevare questo sud e il nostro Belpaese? O serve piuttosto un piano di rilancio che dia speranze anche ai giovani, e ve ne sono rimasti di talento in Italia, nonostante tutte le dimenticanze che hanno sofferto dalla politica. Da Benevento a Capri, lo scenario ovviamente cambia in questa nostra estate dello scontento e della paura. Capri è un posto di lusso, ovvio che la crisi economica qui assuma forme meno spettrali. Ma c’è.
Quest’anno non si sono visti gli americani, i russi, gli arabi, gente che entrava nelle boutique di Via Camerelle, la strada che comincia dal Grand Hotel Quisisana, pochi metri dopo la Piazzetta, e porta verso la piccola salita che poi conduce alla via per Punta Tragara, uno dei luoghi simbolo dell’isola azzurra, proprio sopra i Faraglioni. Le boutique per fortuna sono aperte ma gli affari sono crollati, del 70%, dell’80% nei casi peggiori. Sono pochi infatti gli italiani e gli europei che possono (o che vogliono) spendere migliaia di euro per un vestito od un oggetto di pregio. O perlomeno sono pochi rispetto agli americani, agli arabi ed ai russi che negli anni passati rendevano lo shopping caprese un simbolo del lusso e dell’ottimismo.
Da Capri a Forte dei Marmi, lasciando la Campania e salendo in Toscana il target di pubblico è lo stesso. I ricchi. Ad agosto i ristoranti di Forte dei Marmi hanno lavorato, anche gli alberghi ma a giugno e per buona parte di luglio è stata dura ed anche settembre non potrà essere quello di una volta. Al di là dei pregiudizi sul lusso - che per chi vive con uno stipendio normale, di 1500-2000 euro al mese può apparire persino una bestemmia - non bisogna dimenticare che esso resta uno dei punti di attrattiva e di forza economica del sistema Italia. I nostri luoghi di mare, la bellezza, la moda, lo stile italiano, sono posti di lavoro, tanti, il che rende questo settore una calamita per i lavori stagionali, negli hotel, nei ristoranti, nei negozi. Se l’Italia non ripartirà, nei prossimi mesi, facendosi coraggio e scacciando la paura, che ne sarà di questo indotto che creava lavoro e ricchezza? Rischierà - secondo noi - di fare la fine delle nostre città d’arte, dove l’estate ai tempi del Covid è stata da incubo. Roma e Firenze così deserte i romani ed i fiorentini non le ricordavano dai tempi della Seconda Guerra mondiale.
A Firenze il centro d’estate è rimasto praticamente vuoto. A Roma anche. Nel capoluogo toscano poi si è consumato un fatto tragico, in agosto, il suicidio di un ristoratore del centro angosciato per la crisi economica, senza aiuti dallo Stato e preoccupato di non farcela a tener su la sua impresa. Spostandosi per una ottantina di chilometri ad ovest di Firenze, incontriamo Pisa. La città della torre che pende. Qui, in piazza dei Miracoli, prima del Covid un luogo affollato da migliaia di turisti, quest’anno nessun miracolo. Solo la metafisica di qualche italiano e della bellezza dei monumenti. Punto. Sopra Pisa, in direzione costa tirrenica, si arriva in breve tempo a Viareggio.
Più delle impressioni di chi scrive in questo caso conta un solo dato: oltre ottanta attività, tra ristoranti, hotel, bar, stabilimenti balneari, sono in vendita in una cittadina che conta poco più di 60mila abitanti. Un vecchio versiliese, conversando sulla crisi, ha detto amareggiato che “purtroppo da tempo siamo diventati, noi italiani, un paese di affittatori ai turisti”. Finché ci sono i turisti. E se - come è accaduto quest’anno nella prima estate ai tempi del coronavirus - i turisti non vengono allora addio agli affitti ed agli incassi. E poi Milano, Venezia, anche su al nord la realtà italiana, ha il volto mesto di una estate che non c’è (stata). Perché la crisi fa male, nonostante la retorica consolatoria sulle bellezze del nostro Paese. E questa classe politica al potere, se non si darà una sveglia, rischierà di passare alla storia come la banditrice della vendita dell’Italia. Il Belpaese va all’asta, chi offre di più? Il resto sono chiacchiere. E pure fastidiose.