Strage di Bologna, la verità sul super-testimone: "Mambro e Fioravanti in cella per la bugia di mio padre"
Grazie alla testimonianza di Massimo Sparti i due ex Nar furono condannati. Il figlio Stefano racconta come andarono veramente le cose
«Papà, ma c’era bisogno di fare tutto ’sto casino su Bologna?». «Non ho potuto fare altrimenti, l’ho fatto per voi». Febbraio 2002, Massimo Sparti è in punto di morte e dal suo letto risponde così alla domanda del figlio Stefano. Il «casino su Bologna», Massimo lo aveva fatto quando riferì di aver ricevuto una visita di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti due giorni dopo lo scoppio della bomba alla stazione. I due lo avevano cercato per procurarsi un documento falso per la Mambro. Fioravanti invece non aveva timore di essere riconosciuto, perché, confidò a Sparti, a Bologna era vestito da turista tedesco, «da tirolese» precisò Sparti incalzato dal giudice. In occasione di quell’incontro, Fioravanti si sarebbe lasciato scappare una battuta sulla bomba: «Hai visto che botto?». Sparti fu ritenuto un testimone attendibile e la sua versione dei fatti, smentita dai familiari, inchiodò i due Nar.
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Stefano Sparti, che persona era suo padre?
«Un personaggio ambiguo, con un doppio aspetto, quasi una doppia vita: in una bravo padre di casa, un papà fantastico che mandava i figli nelle migliori scuole per farci stare con un certo tipo di persone. Io frequentavo la Pio IX dove si pagava una retta di 3 milioni e mezzo l’anno. Nell’altra vita, quando aveva i suoi "cinque minuti", si trasformava. Diventava un pazzo che picchiava mia madre e me. Mio fratello per fortuna era piccolo e si è salvato».
Perché questi improvvisi cambiamenti?
«Lo avremmo scoperto in seguito. I suoi sbalzi erano dovuti in parte all’uso della cocaina e in parte alla sua seminfermità mentale, perché lui fu dichiarato seminfermo. Questa è una cosa che dimentichiamo spesso: su Bologna ci si basa sulla testimonianza di un seminfermo di mente».
Che rapporto aveva con lui?
«Gli volevo bene, cercavo di attirare la sua attenzione e di far uscire solo la parte buona di lui. Provavo a fare quello che voleva lui per ottenere il più a lungo possibile il suo bene».
E veniamo a quel 4 agosto 1980, quando secondo la versione di suo padre, avvenne l’incontro con Mambro e Fioravanti.
«Mentì. Quell’incontro non c’è stato. Disse che era a casa a Roma con mia madre, la tata e i figli. È incredibile che nessuno ci ha mai chiesto se questo fosse vero».
Cosa avreste detto?
«Che non eravamo a Roma. In quei giorni stavamo in quella che mio padre per darsi un tono chiamava "la villa", una casa di neanche 40 mq a Cura di Vetralla, in provincia di Viterbo. C’eravamo io e mio fratello, i miei genitori, nostra bisnonna, nonna e la tata. Mangiavamo in veranda perché dentro non c’entravamo».
Perché suo padre ha mentito?
«Credo che non si volesse fare altri anni di carcere (al tempo della testimonianza era detenuto ndr, questo anche per il nostro bene. Raccontò questa storia per avere dei benefici. Non posso dimostrarlo ma credo che periodicamente ricevesse anche dei soldi, visto che non lavorava...».
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Quali furono i benefici?
«La scarcerazione. Fu usata una lastra finta dove risultava malato di tumore. Un metodo per tenerlo sempre sotto ricatto: in qualunque momento sarebbe potuto tornare dentro».
Avete mai parlato della strage prima di quell’ultimo dialogo?
«Lui evitava il discorso, poi per anni non ci siamo più visti fino a quando è stato in punto di morte. Avrei voluto approfondire, ma se ne è andato».
Perché ha detto la sua verità a distanza di anni?
«All’epoca avevo 12 anni, cosa avrei dovuto fare? Dire a me stesso "ora faccio i compiti e dopo vado dal magistrato? Adesso sono cambiato. Ho 50 anni, un figlio cieco, cerebroleso e paralizzato che vive attaccato ai tubi. Questo ti cambia la sensibilità, cambi anche rispetto alle cose che ti sono davanti. Sapevo benissimo che andare dal magistrato non sarebbe servito a niente, anzi, mi avrebbe creato solo problemi, com’è accaduto. Sono indagato per falsa testimonianza e depistaggio, ma continuerò a fare il mio dovere. Se sono stato così "bastardo" da dire cose così brutte, chiedo di essere rinchiuso in galera».