parla la volontaria
Silvia Romano, la verità su rapimento e conversione: il velo è libertà
"Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale". Sono queste le prime parole di Silvia Aisha Romano, la volontaria 24enne rapita in Kenya e liberata che parla per la prima volta del suo sequestro e della conversione all'Islam.
In un'intervista sui mesi di prigionia passati tra Kenya e Somalia, dopo il ritorno in Italia, rilasciata al quotidiano online "La Luce" la giovane volontaria racconta la verità e si sfoga. "Quando vado in giro - spiega Silvia - sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio".
"Il concetto di libertà - aggiunge la cooperante - è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo".
La ragazza si sfoga con il direttore del giornale online Davide Piccardo, esponente di spicco della comunità islamica lombarda a cui la cooperante rapita e liberata dopo 18 mesi si è avvicinata dopo il ritorno a Milano. "La fede - spiega - ha diversi gradi e la mia si è sviluppata con il tempo. Sicuramente dopo aver accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima, certa che Dio mi amasse e avrebbe deciso il bene per me". "Quando provavo paura per l’imminenza della morte o ansia per non avere notizie della mia famiglia e del mio futuro, trovavo consolazione nelle preghiere. Più aumentava la mia fede e più – quando ero triste – chiedevo a Dio la pazienza e la forza, chiedevo a Dio che rafforzasse ulteriormente la mia fede", aggiunge.
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