Vaticano, arrestato il broker Gianluigi Torzi: al centro dello scandalo il palazzo di Londra
L’Ufficio del Promotore di Giustizia del Tribunale Vaticano, al termine dell’interrogatorio del Gianluigi Torzi ha spiccato nei suoi confronti mandato di cattura. Il provvedimento, a firma del Promotore di Giustizia, Prof. Gian Piero Milano, e del suo Aggiunto, Avv. Alessandro Diddi, è stato emesso in relazione alle note vicende collegate alla compravendita dell’immobile londinese di Sloane Avenue, che hanno coinvolto una rete di società in cui erano presenti alcuni Funzionari della Segreteria di Stato.
All’imputato vengono contestati vari episodi di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio, reati per quali la Legge vaticana prevede pene fino a dodici anni di reclusione. Allo stato Gianluigi Torzi è detenuto in appositi locali presso la Caserma del Corpo della Gendarmeria.
Il palazzo al centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto del finanziere italolondinese Gianluigi Torzi è un antico magazzino di Harrods nell’esclusivo quartiere di Chelsea, a due passi dallo snodo della Tube di South Kensington. Eretto nel 1911, all’epoca serviva come deposito per il più famoso department store del mondo, che a tutt’oggi si affaccia sulla Brompton Road a Knightsbridge, non troppo lontano da Sloane Avenue, tempio mondiale dello shopping e meta di 15 mln di visitatori all’anno (Omnia Omnibus Ubique, tutto a tutti ovunque, è il motto della casa).
A vendere il palazzo al Vaticano, che inizialmente stava valutando un investimento nell’estrazione di petrolio offshore in Angola, è stato il finanziere Raffaele Mincione. La Segreteria di Stato non ha acquistato direttamente le mura, ma ha sottoscritto le quote di un fondo che faceva capo a Mincione, Athena Capital Commodities Fund. Per quanto l’immobile sia di pregio, secondo le accuse il Vaticano ci avrebbe perso parecchi denari. E i progetti di ristrutturazione per metterlo a reddito, datano almeno dal 2016, ma richiedono spese non piccole. Oltretutto, i soldi dell’Obolo di San Pietro, che in teoria avrebbero dovuto essere messi al sicuro nel mattone, sarebbero invece finiti a finanziare, sempre secondo le accuse, una serie di operazioni che facevano capo a Mincione, tra cui la sottoscrizione di un bond emesso dalla lussemburghese Time and Life Sa (anch’essa facente capo a Mincione) e l’acquisizione di azioni della Bpm.
Le quote del fondo sottoscritto dalla Segreteria di Stato al 30 settembre 2018 avevano già perso 18 mln di euro rispetto al valore dell’investimento iniziale. Ma la perdita per le finanze vaticane sarebbe ben più consistente. Oltre ai 18 mln persi per il deprezzamento delle quote del fondo, la Santa Sede ha infatti versato a Mincione altri 40 mln di euro, al fine di acquisire una buona volta l’intera proprietà del palazzo. Neanche questa transazione, peraltro oggetto di speciale attenzione da parte degli inquirenti vista la grande sproporzione tra il valore dell’immobile (gravato da un mutuo oneroso) e il prezzo corrisposto, ha risolto la questione.
Nell’ambito della transazione, dalla struttura complessa, il finanziere Gianluigi Torzi, subentrato per consentire alla Santa Sede di acquisire la proprietà del palazzo, aveva conservato un pacchetto di azioni con diritto di voto di una società anonima, la Gutt Sa, coinvolta nel passaggio di mano. La Gutt ha cessato ogni attività il 5 settembre 2019 ed è stata radiata dal Registro delle Imprese lussemburghese, dopo lo scioglimento della società per volontà dell’azionista unico. Alla fine, il Vaticano ha dovuto sborsare altri 15 mln di euro per acquisire la proprietà dell’immobile, ora in mano alla 60 Sa Ltd, iscritta alla Companies House nel marzo 2019 con una sterlina di capitale iniziale e la Segreteria di Stato come unico azionista. In tutto, secondo le accuse, la Santa Sede ha sborsato oltre 350 mln di euro per un palazzo che la Time and Life di Raffaele Mincione aveva acquisito, nel 2012, per 129 mln di sterline.