intervento delicato

Da Torino nuove prospettive nella chirurgia ricostruttiva nervosa. La disamina del prof. P.M. Rossini dell’IRCCS San Raffaele di Roma

Al CTO di Torino, per la prima volta al mondo una parte del nervo sciatico proveniente da un paziente con una gamba amputata a livello del ginocchio è stato ‘traslocato’ a livello del plesso brachiale del medesimo che nel corso di un incidente aveva avuto anche una lesione del plesso ed una conseguente paralisi del braccio. L'intervento, eseguito nei giorni scorsi, ha coinvolto i microchirurghi Bruno Battiston e Paolo Titolo, ed i neurochirurghi Francesca Vincitorio e Diego Garbossa. “Non essendo ancora possibile visionare l’articolo scientifico che è stato pubblicato sulla rivista INJURY ne si può analizzare in dettaglio la complessa natura” spiega Paolo Maria Rossini, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabiltazione dell’IRCCS San Raffaele, confermato dalla classifica stilata dall’Università di Stanford tra gli scienziati più “influenti” al mondo.

“Il concetto teorico che si desume dalle interviste degli autori, però, permette di fare alcune valutazioni: 1) il paziente aveva un’amputazione traumatica a livello del ginocchio e pertanto il contingente di fibre del nervo sciatico destinato al controllo del movimento e della sensibilità sotto il ginocchio ‘giaceva’ inoperoso, ma ancora funzionante all’interno del grosso nervo sciatico; 2) nel corso dell’incidente che aveva portato all’amputazione della gamba, c’era stata una lesione (verosimilmente da strappo) del plesso brachiale che ha comportato la perdita di movimento e di sensibilità al braccio e alla mano. Pertanto l’idea di ‘reinnervare’ il plesso brachiale con fibre nervose del medesimo paziente era tecnicamente molto arduo, ma possibile e teoricamente utile al recupero almeno parziale della funzione della mano. L’intervento è certamente il primo al mondo per quanto concerne la tecnica chirurgica e microchirurgica, ma l’idea di ‘traslocare’ nervi da una parte ad un’altra del corpo di un medesimo paziente per il recupero funzionale di un arto paralizzato non è nuova ma particolarmente attraente per la mancanza di rigetto con cui hanno sempre dovuto fare i conti quei pazienti che erano stati sottoposti a trapianto di arto o di nervi da cadavere. Già il Prof. Brunelli a Brescia negli anni ‘90 aveva effettuato diversi interventi con la traslocazione del nervo ulnare del braccio ai muscoli glutei e quadricipiti di pazienti paraplegici a causa di una lesione del midollo spinale. In anni successivi sono state tentate (in situazioni analoghe a quelle del paziente di Torino) traslocazioni di diversi nervi (es. intercostali, frenico) sul braccio e sul plesso brachiale. I risultati sono sempre stati piuttosto modesti per la difficoltà di una reinnervazione precisa da parte delle fibre trapiantate e della mancanza di un ritorno (feedback) sensoriale a fronte di un qualche recupero del controllo dei muscoli. Insomma qualche movimento possibile sotto controllo volontario, ma senza avere la sensibilità del medesimo con un impatto funzionale complessivo piuttosto scarso nella vita quotidiana. Nel caso dell’intervento di Torino, da quanto si comprende, le fibre ‘traslocate’ dalla gamba al plesso brachiale, sono rimaste collegate al sistema nervoso centrale e quindi sono ancora sotto il controllo dei centri superiori (nel midollo e nel cervello) deputati al controllo della gamba".

  

"Sarà quindi necessario salire numerosi gradini prima di poter osservare appieno il livello di recupero funzionale: a) si dovrà dare tempo alle fibre collegate al plesso brachiale danneggiato di rigenerare lungo le guaine del nervi che sono rimasti isolati a causa della lesione al tempo dell’incidente, senza essere però degenerati e quindi essendo rimasti disponibili per la rigenerazione; b) si dovrà sperare che la reinnervazione segua un percorso il più possibile naturale: le fibre motorie reinnervando i muscoli giusti dell’avambraccio, braccio e mano e quelle sensitive reinnervando gli appropriati recettori cutanei, muscolari e tendinei; c) si dovrà sfruttare al massimo la ‘plasticità’ del cervello, insegnando alle ‘centraline’ deputate dalla nascita sino al momento dell’intervento a governare i movimenti della gamba, a produrre invece i ben più complessi movimenti di un braccio e di una mano.  Nel migliore dei casi ci vorranno diversi mesi e poi sapremo sino a che punto questa tipologia di intervento possa essere impiegata in un prossimo futuro per alleviare i deficit ed i problemi di vita quotidiana in questa tipologia di pazienti”.