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Tumore al seno HER2 positivo in stadio precoce, rivoluzione nella cura: la migliore terapia possibile

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Giada Oricchio
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Rivoluzione per l’approccio terapeutico al tumore alla mammella HER2 positivo in stadio precoce. Due nuove molecole, trastuzumab emtansine (TDM-1) e pertuzumab, aprono alla speranza di un prognosi migliore per le pazienti oncologiche.

Durante la conferenza stampa “Tumore al seno in fase precoce HER2 positivo: le nuove prospettive e opportunità di cura”, è emerso quanto sia determinante per la guarigione una gestione della paziente integrata e multidisciplinare. E’ finita l’era dell’oncologo che rinviava al chirurgo che in solitaria decideva il tipo di intervento, adesso le Breast Unit e i Centri di Senologia Multidisciplinari riconosciuti con il DM del 2014 fanno la differenza: la sopravvivenza delle pazienti ha un incremento del 18% rispetto a quelle seguite in centri non specializzati.

Ma la grande novità è rappresentata da un algoritmo terapeutico diverso. Prima dell'introduzione di trastuzumab emtansine (TDM-1), la terapia adiuvante era uguale per tutte le donne. Oggi, invece, le pazienti con residuo di malattia a maggiore rischio di ricaduta, che sono state sottoposte a terapia prima della chirurgia (neoadiuvante), possono essere trattate in maniera specifica con trastuzumab emtansine (TDM-1).

Dagli studi si è visto che c’è una riduzione del 50% del rischio di recidiva o decesso rispetto allo standard attuale. Una rivoluzione riconosciuta anche dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che ha conferito l'innovatività a trastuzumab emtansine (TDM-1) per la sua efficacia nel prevenire le ricadute nelle pazienti HER2+ ad alto rischio.

Lucia Del Mastro, professore di Oncologia all’Università di Genova e coordinatrice della Breast Unit dell'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova ha spiegato: “Il nuovo algoritmo prevede l'effettuazione della terapia neoadiuvante nella maggioranza delle pazienti affette da tumore alla mammella HER2 positivo in modo da capire fin da subito se il tumore è sensibile e, quindi, se regredisce come effetto del trattamento effettuato prima della chirurgia. In pratica, dopo il trattamento neoadiuvante, il tumore può regredire completamente o può esserci un residuo tumorale.

Nelle pazienti in cui persiste un residuo, il rischio di sviluppare metastasi successivamente è più alto. Per questo, oggi, in tali pazienti al posto della terapia con trastuzumab è possibile somministrare un altro farmaco: trastuzumab emtansine (TDM-1), un anticorpo monoclonale coniugato, formulato per portare con sè direttamente all’interno delle cellule tumorali, molecole di un chemioterapico, tossico per il cancro, in grado di ridurre in maniera molto rilevante il rischio di sviluppare metastasi. In questo modo si fornisce alla paziente la migliori possibilità di cura e anche la miglior prognosi”.

La professoressa ha illustrato lo studio KATHERINE che ha coinvolto proprio pazienti che dopo il trattamento neoadiuvante non avevano raggiunto una risposta patologica completa e dai risultati del trial, che ha confrontato la monoterapia a base di trastuzumab emtansine (TDM-1) con quella a base di trastuzumab, si è vista una riduzione del 50% del rischio di recidiva o di decesso nelle pazienti in trattamento con T-DM1: “Questi risultati dimostrano quanto sia importante garantire a tutte le pazienti candidabili la terapia neoadiuvante, che oggi in Italia viene valutata solo in pochi casi. Siamo indietro rispetto ad altri Paesi”. Il trial ha anche dimostrato che aggiungere un altro farmaco anti-HER2, pertuzumab, alla terapia standard con trastuzumab, riduce il rischio di recidiva o di decesso del 28%.

L’innovazione terapeutica è salutata favorevolmente da Rosanna D’Antona, presidente Europa Donna Italia: “La patologia di cui si parla è complessa, affidarsi a un team multidisciplinare è fondamentale, qui la paziente può trovare le soluzioni di cui ha bisogno a 360°.  Ci sono 190 centri in tutta Italia tra Breast Unit e centri di senologia e la loro localizzazioni è facile sul nostro sito ‘Europadonna.it’, basta inserire il cap della propria città. La multidisciplinarietà è fondamentale, il core team è composto da un oncologo, un chirurgo, un radiologo, un radioterapista e un’infermiera di senologia. Poi ci sono figure altrettanto determinanti come lo psico-oncologo”.

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