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Al via la settimana nazionale del mal di testa

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La condizione di chi soffre di cefalee e in particolare di emicrania cronica si può definire allarmante. Basti pensare che prima di arrivare da uno specialista che possa somministrare una terapia adeguata si impiegano anche 20 anni. Una peregrinazione senza fine. Lo dimostrano i dati del Registro Nazionale dell’emicrania coordinato dal prof. Piero Barbanti dell’IRCCS San Raffaele Roma, presidente dell’ANIRCEF (Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee), che richiama l’attenzione sul tema in vista della settimana nazionale (17 maggio-22 maggio) dedicata al mal di testa.

L’emicrania - secondo recenti studi scientifici internazionali - resta la seconda causa a livello mondiale di disablità e la prima per le donne al di sotto dei 50 anni. “In Italia esiste una situazione surreale per i pazienti con emicrania cronica: un intervallo di circa 20 anni tra l’esordio dei primi sintomi e la visita dello specialista; esami diagnostici perfettamente inutili nell’80% dei casi; consultazione in media di 8 diversi specialisti per ciascun paziente; ricorso al pronto soccorso almeno 2 volte all’anno in un quarto dei soggetti.

I 160 centri per le cefalee italiani – spiega il prof. Barbanti, responsabile del Centro per la cura delle cefalee e del dolore dell’IRCCS San Raffaele Roma -  non bastano e non a caso le Regioni hanno nominato oltre 210 centri prescrittori degli anticorpi monoclonali antiCGRP, formidabili armi di prevenzione. Presso il San Raffaele Roma sono attivi in questo momento ben 16 trial clinici sperimentali con diversi anticorpi monoclonali antiCGRP e con i gepanti per la prevenzione dell’emicrania e della cefalea a grappolo, anche per soggetti in età pediatrica”.

“L’Italia è la Nazione UE che ha applicato i criteri di rimborsabilità più rigidi nei confronti dei nuovi anticorpi monoclonali antiCGRP” – afferma Livia Giustiniani, esponente dell’associazione dei pazienti cefalalgici AIC-onlus - AIFA ha stabilito che il trattamento con questi anticorpi debba necessariamente interrompersi per 3 mesi dopo un anno di cure. Ciò non accade in nessuna delle 10 nazioni UE dove sono commercializzati. Una decisione che fa ripiombare nello sconforto le migliaia di pazienti in trattamento. Confidiamo che le Autorità modifichino presto i limiti prescrittivi ascoltando la nostra testimonianza”. 

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