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Un supercomputer per fermare il virus: ecco le molecole anti-Covid. Lo studio dell'Università Tor Vergata

Antonio Sbraga
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“Il nostro studio cerca il modo di impedire al movimento molecolare del Coronavirus di fare il suo mestiere, occludendo la cavità interna della glicoproteina per rendere impossibile la penetrazione nelle cellule del Covid-19, proprio sfruttando il suo punto debole. Ossia quello che sinora ha fatto il Coronavirus, approfittando delle nostre debolezze”. E ora, per cercare di ripagare con la stessa “moneta” il Coronavirus, il Gruppo di Bioinformatica strutturale del Dipartimento di Biologia dell'Università Roma Tor Vergata ha individuato, con l’ausilio del supercomputer di Enea, alcune molecole in grado di inibire la “Spike S”, che è una specie di uncino usato da Sars-Cov-2 per penetrare nelle cellule.

Lo studio, pubblicato e validato scientificamente dalla rivista “Virus Research”, ora verrà testato a breve attraverso tecniche sperimentali in laboratorio effettuate su pseudo-virus. “Il riscontro sperimentale testerà l’efficacia reale di queste molecole inibitrici che, secondo il nostro studio, validato come il primo lavoro interamente computazionale effettuato sinora- spiega il professor Mattia Falconi, coordinatore della ricerca e della laurea magistrale in Bioinformatica- agiscono come composti in grado di legarsi stabilmente nella cavità interna della Spike S di Sars-Cov-2 e agire come inibitori della fusione”.

Quindi, professor Falconi, praticamente fate agire questi composti come una sorta di barriera antivirus?
“Sì, è come mettere una palla sotto uno sgabello a 3 gambe: in quel modo non si chiude più. Durante il lockdown, insieme ai ricercatori Alice Romeo e Federico Iacovelli, effettuando questo screening virtuale abbiamo osservato che alcuni farmaci possono occludere questa cavità, impedendo così il movimento dell’intera macromolecola e bloccando il processo infettivo”.

E in che modo ci riescono?
“Impedendo la fusione prima che la proteina Spike S esegua la transizione conformazionale, ovvero quel movimento molecolare necessario al completamento del processo infettivo. Un’alterazione di questa regione impedirebbe la fase iniziale del meccanismo di infezione e porterebbe alla scomparsa del virus”.

Si tratta di farmaci facilmente reperibili e utilizzabili in larga scala?
“Sì, sono di quelli già approvati dalla Food and Drugs Administration americana, dunque facilmente riutilizzabili perché già noti. I composti più promettenti sono l’ipericina, che è naturale e fa anche bene perché è antibatterico e non ha nessun effetto collaterale, e la ftalocianina. Entrambi sono stati precedentemente valutati in diversi studi come possibili antivirali su diversi tipi di virus, tra cui l’Hiv. Peraltro la zona utilizzata come bersaglio da questi inibitori rimane sostanzialmente invariata nelle sequenze genomiche conosciute di Sars-Cov-2 a oggi disponibili. E possiede pure un alto grado di similarità anche con quelle di altri betacoronavirus, perché non è sottoposta a fenomeni di mutazione”.

Per questo studio è stato utilizzato il supercomputer messo a disposizione dall’Enea per la ricerca sul Covid: quanto sono importanti questi supporti e cos’altro servirebbe per aiutare la ricerca?
“L’utilizzo del cluster Hpc dell'Enea Cresco6 è stato fondamentale. Perché fa risparmiare anni di ricerche, moltiplicando le potenzialità di ricercatori come Romeo e Iacovelli, che sono ex studenti del nostro Dipartimento. C’è bisogno di ricercatori come loro (e sarebbe un vero cruccio se dovessero andar via a causa della fuga dei cervelli) e anche di computer sempre più potenti”.

 

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