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Coronavirus tra paura di uscire e stress: così il lockdown ci ha cambiato la vita
In Italia, la vita ha ripreso a scorrere. Dopo mesi di lockdown a causa del Coronavirus, i negozi, i ristoranti e le porte di casa degli Italiani hanno finalmente riaperto. “Di fronte a questa apertura abbiamo avuto due atteggiamenti molto diversi,” spiega Massimo Ammanniti, uno dei più noti psicoanalisti italiani specializzati nell’età evolutiva. “Chi vuole cancellare il periodo del lockdown e chi è rimasto intrappolato in un isolamento interno.” Così, Ammanniti sottolinea la differenza tra due i due tipi di solitudine che hanno vissuto e stanno vivendo gli Italiani.
In termini generali, l’atteggiamento delle persone post-lockdown è molto condizionato dall’età. “I giovani vogliono ricominciare la vita di prima, negando anche il pericolo del contagio e di quello che potrebbe succedere,” dice Ammanniti. “Questo è comprensibile perché corrono meno rischi e sentono più il bisogno di ritornare alla normalità.” Poi esiste un’altra fascia di persone, perlopiù persone non più giovanissime, che invece hanno difficoltà a riprendere la vita di prima. Quest’ultimi continuano a vivere molto impauriti ed allarmati, con l’ansia del contagio.
L’effetto capanna però è un altro discorso. “Ci sono persone che in questo periodo hanno riscoperto molte cose della loro vita, è stata come una parentesi che li ha spinti un po’ riflettere su di sé, sui rapporti con gli altri, sulle proprie scelte,” dice Ammanniti. Per molti è stato un periodo particolarmente fruttuoso, perché hanno avuto il tempo di interrogarsi. “Forse hanno scoperto da una parte la propria vulnerabilità, e più in generale la vulnerabilità della specie umana,” dice Ammanniti. Dall’altra però, le persone hanno cominciato distinguere che cos’è rilevante o meno. Stando a casa hanno riscoperto il valore la famiglia, se hanno dei figli il rapporto con i figli, con il partner, hanno letto libri, visto film, coltivato interessi nuovi.
“Mentre prima era un isolamento imposto questo è un isolamento più interno,” dice Ammanniti. “Per loro questo periodo di lockdown è stato un periodo di maturazione, per cui la fuori uscita è molto più lenta di quanto ci si poteva immaginare.” Qui, Ammanniti ha voluto fare una distinzione tra due interpretazioni della parola solitudine. “In inglese esiste la differenza fra loneliness, che è la solitudine che si è provata in questo periodo, però una solitudine anche avuto degli aspetti positivi, e solitude, ossia un ritirarsi dal mondo, che rischia di essere qualcosa di negativo che ti allontana dalla realtà, dall’esplorazione del bisogno di scoprire nuove cose,” dice Ammannitti.
Nonostante questo periodo di ritiro sia stato importante per alcuni, Ammanniti sottolinea l’importanza del confronto con gli altri per evitare che la vita si impoverisca. “Nell’isolamento uno sviluppa dei comportamenti ripetitivi, dei rituali troppo rigidi, per cui il confronto con la realtà diventa fondamentale, come diceva anche Freud, dobbiamo poi metterci a confronto con il principio di realtà.” Anche qui, una differenza da specificare è quella tra i rituali ed il ritualismo. “I rituali li usiamo tutti, il problema è il ritualismo, ossia quando diventano rigidi e ripetitivi, lì diventa un modo di auto rassicurarsi, perché ci si sente fragili.” Questa, secondo Ammanniti, è una cosa che va assolutamente superata perché altrimenti si vive in un mondo molto centrato su noi stessi e perdiamo di vista il rapporto con gli altri, la sfida, e il gusto dell’esplorare.
“E poi, i bambini: I nostri figli al tempo del Coronavirus,” un libro scritto da Ammanniti, è in uscita questa settimana e si concentra sugli effetti di questo periodo di lockdown sui bambini e gli adolescenti. “I bambini sono stati i grandi sacrificati in questo periodo, i cani potevano uscire di casa, i bambini no,” dice Ammanniti. Questo li ha portati a vedere il mondo come un posto minaccioso, ed essendo la loro identità molto legata all’ambiente e alle relazioni con spazi domestici, hanno assorbito questo clima di incertezza e di paura.