Domenico Stile, chef di Enoteca La Torre
"La seconda stella? Emozione pari alla nascita di mio figlio"
<Con la seconda stella ho provato la stessa emozione di quando è nato mio figlio. Certo, esperienze diverse, ma la scarica di adrenalina è stata simile>. Domenico Stile, chef di Enoteca La Torre a Roma (lungotevere delle Armi 23) deve ancora metabolizzare quello che è successo nemmeno una settimana fa: il palco, i complimenti, la targa. E l’essere entrato in un Olimpo che a Roma vede solo tre ristoranti con due stelle: lui, Acquolina e il Pagliaccio di Anthony Genovese. Napoletano di Gragnano, 33 anni, una storia fatta di predestinazione e testardaggine: a 15 anni aveva già in mente di fare lo chef, a 21 era nella brigata di cucina di Vissani dove è rimasto per due anni - «Gianfranco è così, o lo ami o lo odi» - un periodo a Ischia, poi con Cannavacciuolo, un passaggio all’Osteria Francescana con Bottura, un altro periodo a Chicago e infine all’Enoteca la Torre nel 2016 dove a 26 anni conquista la sua prima stella. Però ammette che il difficile inizia ora. «Dire che non mi interessa mantenerla sarebbe una bugia troppo grossa. Adesso però bisogna mantenere lo standard, lavorare sui dettagli, le sfumature. E non stare mai fermi. In questo lavoro se diventi statico sei morto».
Doppia stella significa anche un menu nuovo. I clienti sono esigenti...
<Un rinnovamento era già in programma. Ma è ovvio che adesso il restyling diventerà più sostanzioso. Ci stiamo lavorando, a dicembre sarà pronta la nuova carta>.
Qualche anticipazione?
<È un po’ che sto pensando a un percorso di sola cacciagione. Ho già introdotto nel menu alcuni piatti - la lepre, il daino - e i clienti sono rimasti entusiasti. Adesso diventerà un menu completo>.
Proporre gusti nuovi è sempre difficile immagino. C’è un ingrediente che proprio non sopporta?
<No, perché noi chef dobbiamo essere sempre in movimento, aprirci a nuovi stimoli, metterci in discussione>.
E uno che adora?
<Tutti i legumi, vengono dalla tradizione di casa. Ma in particolare la zucchina trombetta, la cucuzzella in napoletano. Mia mamma faceva delle zuppe strepitose. E io l’ho inserita nel menu>.
Una mamma brava ai fornelli, lei chef, sarà dura per sua moglie quando deve cucinare...
<Ma no, io non dico mai nulla, anche a casa di amici. Al massimo posso dare qualche consiglio... ma poi mangio tutto. E addirittura dalla tradizione umbra della famiglia di mia moglie ho anche imparato alcune preparazioni, come il salmì o l’arrosto morto di coniglio>.
Aver conquistato le due stelle significa anche aumento delle spese tra personale e impegno in cucina. Come si fa a far tornare i conti?
<È dura. È per questo che quasi tutti i ristoranti stellati ormai si appoggiano a un albergo e poi diversificano. Altrimenti non stai nei costi. Noi siamo fortunati perché l’azienda ha anche altri locali e un catering, ma è difficile per tutti. Specialmente con questi prezzi folli dell’energia credo che qualche stellato finirà per saltare per aria>.
Di questo però non si parla mai a un giovane che sogna di fare lo chef
<Un errore enorme, infatti ormai ci troviamo ragazzi che arrivano pensando di aprire un ristorante dove spendi tanto e di conseguenza guadagni tanto. No, non è così, devi avere altre entrate, devi essere anche un manager. Altrimenti qualunque imprenditore dopo un po’ ti manda a casa. E poi nessuno immagina quanto sia duro questo lavoro>.
All’esterno però sembra sia tutta una festa, le tv, i premi
<E invece no, non è così. Io per esempio lavoro a Roma ma ho la famiglia a Orvieto. E non sa quanto è difficile lasciare mio figlio di due anni e non rivederlo per giorni. E poi non ci sono orari, non puoi pensare di lavorare 8 ore. Si spinge, devi stare ai fornelli. Per questo ai ragazzi dico siate concreti, lasciate stare quello che appare all’esterno. Restando però sempre con i piedi per terra: noi alla fine prepariamo da mangiare, siamo artigiani, mica salviamo vite o inventiamo nuove macchine>.