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Cinquanta sfumature di Chiaretto

Paolo Zappitelli
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Si chiama Chiaretto di Bardolino ed è il vino rosè più venduto in Italia con dieci milioni di bottiglie. Venduto e non il più diffuso perché sconta ancora una conoscenza e un apprezzamento abbastanza territoriale, dalle sponde orientali del lago di Garda dove si trovano i vigneti e poi in tutte le regioni del Nord, dal Veneto alla Lombardia. Ma le qualità per una sua futura «espansione» nel resto d’Italia ci sono tutte visto che il Chiaretto ha le caratteristiche di vino da aperitivo (compreso il colore) che più intrigano i consumatori: una buona sapidità e freschezza con note agrumate e frutti rossi che variano dalla ciliegia alla fragola e al lampone. Senza dimenticare che può essere degustato anche con il pesce. Alcune cantine hanno poi iniziato anche a lasciar «maturare» piccole partite di bottiglie (affinamento solo in acciaio) e i risultati premiano questa scelta: in età adulta nel Chiaretto emergono infatti le caratteristiche note speziate della Corvina, l’uva che - come prescrive il disciplinare - rappresenta il 95% dell’uvaggio che viene poi completato con Rondinella e Molinara. E in questo caso il Chiaretto diventa anche un vino da abbinare a piatti più elaborati, anche di una certa complessità.

 


Nei giorni scorsi, come ogni anno, si è svolta l’Anteprima del Chiaretto con una degustazione di 50 assaggi di 40 cantine. «Siamo a una svolta per questo vino - spiega Angelo Peretti, direttore del Consorzio di Tutela del Bardolino e Chiaretto di Verona - Per prima cosa il 12 aprile è entrato in vigore il nuovo disciplinare che fissa il nome in "Chiaretto di Bardolino". Poi, visto che si iniziano ad avere cantine con annate del 2018 e 2019, si sta puntando a una maggiore selezione di vigneti e lotti per aumentare la qualità e quindi la possibilità di far maturare nel tempo il vino. Infine il colore: il disciplinare è diventato più stringente è stabilisce che deve essere "rosa chiaro"». Un colore che aveva sedotto anche i romani, i primi che hanno iniziato a produrlo quando conquistarono il territorio del Garda. Lì introdussero il modello agricolo della villa rustica e il torchio da vino che dà una pressature soffice delle uve con un contatto brevissimo del mosto con le bucce. E il risultato era proprio questo color rosa, dal quale il nome «claretum». Un procedimento analogo a quello che, sempre i romani, utilizzavano in Provenza, un territorio che da sempre primeggia nel settore dei vini rosati. E l’obiettivo - ambizioso - del Consorzio è proprio quello di diventare un punto di riferimento nei rosati italiani - e per i consumatori - arrivando in breve tempo a 12 milioni di bottiglie.
 

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