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Don Gigi lascia la Segreteria di Stato Vaticana per dedicarsi ai disperati in nome di mamma Santina

di Franco Bechis
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Ci sono persone dalla vita che ti sorprende, e raramente qualcuno mi ha sorpreso più di un sacerdote che conobbi assai giovane quando per la prima volta arrivai a dirigere il Tempo, nel lontano 2002. Don Luigi Ginami, un bergamasco incantato dal cardinale Carlo Maria Martini che chissà come era capitato a Roma alla segreteria di Stato del Vaticano, nell'ufficio informazioni e documentazione. Lì lavorava per l'informazione strategica del Papa- che allora era Giovanni Paolo II, e lì sarebbe rimasto per un quarto di secolo, preparando rassegne stampa internazionali anche per papa Benedetto XVI e per papa Francesco. Quando l'ho conosciuto era un monsignorino sempre sorridente e apparentemente fuori dal mondo, non privo di qualche ingenuità e stupore per quel che accadeva nel mondo.

Eppure molti segreti del mondo doveva conoscere, perché- non so come- era diventato il sacerdote più ricercato e consultato da uomini importanti e potenti. Per tutti don Gigi, ma nel suo perfetto clergyman e nella apparente umiltà, era di casa in molte famiglie di potenti del tempo. Era confessore, confidente, precettore di figli e consolatore di persone che non avrebbero confidato un pensiero di sé a nessuno, come l'allora governatore della Banca di Italia, Antonio Fazio, o il banchiere più potente dell'epoca, Cesare Geronzi, e tanti altri banchieri, industriali (come l'allora editore de Il Tempo) e personaggi del momento. Non era noto alla grande stampa, anzi. E non amava pubblicità, custodendo con ritrosia questa rete di rapporti che più di un cardinale avrebbe invidiato, e ovviamente ogni confidenza a lui affidata.

Passarono gli anni, lavorai in altri giornali e per la simpatia nata in quegli anni ci tenemmo in contatto a distanza. Fin quando una decina di anni don Gigi non fu travolto dalla lunga malattia e poi dalla scomparsa della mamma, Santina Zucchinelli. Scriveva agli amici parole commoventi, inviava video di quei mesi così duri eppure densi di esperienza e preghiera in un momento così difficile e infine tragico. La salita al cielo di mamma Santina trasformò l'uomo e il prete, e suscitò un vero miracolo: la nascita della Fondazione Santina onlus, accompagnata dalla Associazione degli amici di Santina Zucchinelli. La memoria della mamma è diventata da quel giorno il motore della vita di don Gigi, che si è fatto in dieci in ogni parte del mondo per aiutare chi era più in difficoltà e realizzare grazie alla carità che ha saputo muovere in modo straordinario grandi e piccole opere del bene. Da Garissa, luogo della tragedia dell'odio religioso dove furono sterminati studenti cristiani da fondamentalisti islamici, e con la Fondazione Santina è riuscito a ricostruire la Chiesa, ai pozzi per l'acqua realizzati nei villaggi più sperduti dell'Africa, all'istituto per le adozioni a distanza messo in piedi per quelle povere famiglie del centro e Sud America sterminate dalle guerre dei signori della droga, fino alle fogne realizzate in Perù o agli asili nelle aree più povere del Vietnam.

Ogni mese mi arrivavamo foto e appelli di don Gigi, e pure le cronache puntuali delle sue giornate in giro per il mondo. Grandi e piccole opere di bene. Ma l'opera principale era lui, il corpo di un prete non più monsignore che spogliato del clergyman che vestiva con tanta cura e coperto da qualche straccio, si era fatto compagnia e carità per gli ultimi del mondo. Ci siamo parlati di rado, ma ho fisse negli occhi le immagini di lui con in braccio il corpo di una donna martoriata e condannata a morte dall'Aids, uno scheletro con brandelli di pelle e muscoli ormai assenti, che portava in acqua per la gioia di un ultimo bagno e sul volto di lei sofferente si apriva un sorriso di gioia che valeva più della costruzione di molti asili. Ho visto don Gigi entrare nelle più terribili carceri sudamericane, dire messa di fronte ai più spietati e sanguinari narcos, poi abbracciarli e confessarli, con il prete che si inginocchiava e lavava loro i piedi. L'ho visto con bambini malati, denudati e disperati, ritrovare la luce negli occhi alla sua presenza. Ho visto giorno dopo giorno il miracolo di una vita che non avrei immaginato e di quello che può diventare quando diventa strumento della carità di Dio. Sì, don Gigi mi ha sorpreso e tante volte sono stato tentato di raccontarlo, temendo solo il suo pudore.

Se ne parlo ora è perché è avvenuta la sola cosa che non mi sorprende. Per dieci anni da ogni viaggio di carità anche così estrema ha fatto ritorno alla Segreteria di Stato, scrivendo di quel che vedeva, e talvolta raccontandone anche direttamente a cardinali e allo stesso Papa Francesco. Nelle pause dal bene continuava il suo lavoro di un tempo, con la stessa dedizione di prima. Ma ormai la sua vita era piena di altro, e le mura Leonine solo un freno all'esplosione di quell'amore caritatevole. Così è accaduto quel che ormai mi immaginavo: don Gigi ha scelto la sua Fondazione Santina e l'amore per il mondo. E dopo 25 anni lascia la segreteria di Stato del Vaticano, mettendosi a disposizione dal primo luglio della sua diocesi di Bergamo dove più liberamente potrà continuare a seguire e aiutare i suoi disperati nel mondo che lo aspettano con ansia. Come ha ricordato monsignor Dario Edoardo Viganò dando l'annuncio di questo ritorno a casa di don Gigi, a Bergamo “vuole dedicarsi ancora meglio, ancora con maggior passione, alle opere di Carità e in particolare alla vita della Fondazione Santina. Non è un caso che tra poco, tornando definitivamente a Bergamo, inizierà la sua nuova vita pastorale con il quarantaseiesimo viaggio di solidarietà. E vi voglio annunciare che tale viaggio solidale sarà in Perù per conto di Fondazione Santina, ma insieme anche alla Diocesi, perché proprio la Caritas di Bergamo ha finanziato totalmente il rifacimento di una parte del Seminario di Puerto Maldonado nell’Amazzonia peruviana”. Buon viaggio dunque all'amico e al sacerdote che così tanto ha saputo sorprendermi in questi anni...

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