Il Fatto quotidiano, Report, Renzi e quel dossier che non ho mai avuto
Su Il Fatto quotidiano di lunedì 10 maggio vengo citato in un articolo a firma di Alessandro Mantovani - che non conosco - a proposito dello scontro fra la trasmissione di Rai 3 Report e Matteo Renzi insieme ad Augusto Minzolini, “oggi editorialista del Giornale”, e mi vengono tirate le orecchie insieme a lui perché “non risulta abbiano denunciato chi - tre mesi fa - consegnò loro il dossier finito poi ai detective di Italia viva. Entrambi spiegano a Report di averlo ritenuto falso, ma ne usarono una parte su Rocco Casalino: si parlava di mail fra l'ex portavoce di Giuseppe Conte e Ranucci, chiamato un conduttore Rai, a proposito di contenuti da mandare in onda. Entrambi hanno smentito, nessuno mostra le mail...”.
Ora sembra che sia diventato di gran moda fra i colleghi giornalisti andare in procura a denunciare una fonte (magari se rivela qualcosa che si sarebbe imbarazzati a scrivere). Non lo farei mai e ritengo non corretto professionalmente farlo: il mio lavoro è verificare le notizie e i documenti e so bene che le notizie e i documenti circolano sempre perché qualcuno ha interesse a farli circolare. Rispondo solo a due criteri: autenticità della notizia o del documento e interesse del lettore a leggerlo, e pace se c'è qualche altro interesse in gioco, a me basta che le prime due cose siano assodate. Ai colleghi che corrono in procura chiederei semmai perché non l'hanno mai fatto in precedenza, quando entravano in possesso in anteprima di verbali di interrogatorio o di relazioni di indagine che qualcuno certo consegnava loro con i suoi bei motivi. Dovessimo comportarci così ogni volta non riusciremmo più a fare i giornalisti. Quindi l'osservazione del Fatto quotidiano è una sonora sciocchezza che contrasta gravemente con il senso della professione giornalistica.
Ma vengo al punto: non ho e non ho mai avuto nelle mie mani alcun dossier né alcun documento su nessuno dei protagonisti della contesa. A fine gennaio un collega di altro giornale (che non ne ha mai scritto) venne a consultarsi da me sulla autenticità di uno scambio epistolare fra Sigfrido Ranucci e Rocco Casalino a proposito della messa in onda di un servizio inchiesta sui rapporti fra Matteo Renzi e gruppi arabi a proposito di Piaggio Aerospace. Nella mail su carta intestata a Report (vado a memoria) Ranucci informava Casalino che il servizio sarebbe andato in onda a fine novembre, e l'allora portavoce di Giuseppe Conte rispondeva lodando la scelta perché a loro avrebbe fatto più comodo se trasmesso a quella data. Osservai al collega che la carta intestata di Report sarebbe stata facilmente falsificabile e che invece l'indirizzo mail di Casalino non era quello ufficiale e a me che da tanti anni lo conoscevo era ignoto e aggiunsi pure che conosco da tanti anni Milena Gabanelli e ne ho stima che in automatico trasferisco su Sigfrido Ranucci che conosco un po' meno: non era nel loro stile fare inchieste perché qualcuno da palazzo Chigi le suggeriva. Semmai il contrario. Provai comunque a scrivere a quella presunta mail privata del portavoce e mai ottenni risposta. Qualche giorno dopo - senza citare Report - riportai questo episodio in un articolo uscito sul Tempo il 2 febbraio sull'agonia del Conte bis e i veleni e i sospetti fra il premier e Renzi che impedivano la nascita del Conte Ter. Lo citai come episodio “fake” ma che testimoniava i veleni che circolavano in quei giorni. Mai più scritto più nulla.
Tempo dopo - quando Conte e Casalino erano già andati via da palazzo Chigi - venne da me ancora una volta quel collega per dirmi che forse quel carteggio era autentico. Mi fece vedere altra documentazione che avrebbe provato la verità del fatto. Fra questa una distinta di liquidazione Rai per 45 mila euro a una società di cui ignoravo l'esistenza, e un estratto conto di banca lussemburghese di una persona fisica che a me diceva nulla ma che secondo il collega sarebbe stata intervistata da Report con volto oscurato e voce distorta. Non avevo grande interesse per la vicenda che mi sembrava un po' tortuosa, ma notai che l'importo accreditato da quella stessa società che la Rai avrebbe pagato 45 mila euro era di cifra simile ma inferiore, e quindi provava assai poco. Non solo, sullo stesso estratto conto bancario del signore vidi almeno altri 4 pagamenti della stessa società nei mesi precedenti, tutti di importi diversi. Azzardai l'ipotesi che quel signore lavorasse come consulente di quella società, e che quindi i pagamenti provassero quello e non altro. E dissi al collega che noi non potevamo esibire come prova un documento come la distinta bancaria che perfino con rogatoria giudiziaria si sarebbe faticato ad avere. Secondo me era un falso da gettare nel primo cestino disponibile. Il collega mi ha ringraziato e se ne è andato via con quelle fotocopie che credo abbia buttato nel cestino come avevo consigliato.
Nè io né lui né altri abbiamo scritto un rigo sulla vicenda che per altro non è così rara: capita spesso di ricevere documentazione che non convince o di avere da fonti pure attendibili in passato notizie che ritengo non vere o comunque non verificabili e che non pubblico. Il nostro mestiere non può essere quello dei passacarte, ma nemmeno quello dei collaboratori delle procure. Sapendo che si può sbagliare mille volte nel giudizio continuerò a fare quel che sempre ho fatto: cercare notizie in esclusiva, diffidare per principio di quelle di gruppo, e provare a verificarne l'attendibilità con gli strumenti che ho. Se mi convincono pubblico se non mi convincono butto via o come in questo caso non ricevo nemmeno la documentazione perché puzza al primo esame superficiale.