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A Ostia la mafia c'è, condannati 7 affiliati del clan Spada

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Andrea Ossino
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A Ostia la mafia c'è. Almeno secondo la sentenza emessa dai giudici di piazzale Clodio. Il tribunale chiamato a esprimersi sul processo "Sub Urbe" ha infatti condannato sette imputati del clan Spada ad oltre 56 anni di carcere. Inoltre gli imputati, ai quali è stata riconosciuta l'aggravante del metodo mafioso, saranno costretti a sborsare un il cospicuo risarcimento richiesto dalle parti civili: Libera, la Regione Lazio, Roma Capitale, l'Associazione Caponnetto, Sos impresa e le famiglie delle vittime. “Gli episodi violenti si caratterizzano come affermazione di supremazia sul territorio. Sono espressione di una strategia articolata che vede un'organizzazione criminale su base familiare, quella degli Spada, cercare di affermarsi su Ostia”, avevano affermato i pm durante la requisitoria, al momento termine della quale erano stati richiesti 93 anni di carcere e 209 mila euro di multa. E ancora: “Depotenziare i Baficchio. Acquisire gli ambiti criminali e territoriali dove operavano. Realizzare fatti con modalità tali da rendere palese la successione criminale”. L'omertà delle vittime, le intimidazioni, gli schiaffi umilianti in pubblica piazza, le estorsioni, le gambizzazioni, la gestione delle case popolari e le spedizioni punitive. L'antica rivalità tra i Fasciani e i Triassi, lascia il posto a quelli che un tempo erano i loro alleati: Gli Spada e i Baficchio. Gli scontri erano all'ordine del giorno. Le azioni dimostrative avrebbero il loro peso: “Dopo il duplice omicidio avvenuto in pieno giorno e in pubblica via (quello di Galleoni e Antonini ndr) – aveva spiegato in aula la procura – Massimo Cardoni è stato gambizzato proprio fuori dal supermercato che ‘proteggeva'”. Sono vicende terribili quelle raccontate dai collaboratori: “Giovanni Galleoni portò "Lelli" (Massimo Massimiani ndr) presso un garage. Giovanni aveva la disponibilità di un piccolo magazzino insonorizzato con della gomma piuma, da lui utilizzato come 'stanza delle torture'”. Massimiani, accusato di “essere passato dalla parte degli Spada”, era riuscito a scappare. Così “dopo l'omicidio di Giovanni Galleoni il ruolo di leader nella zona della "vietta" (via Antonio Forni, una piazza di spaccio ndr) è stato assunto proprio da Massimo Massimiani”. I Galleoni furono messi in minoranza. Gli alloggi popolari diventarono terreno di scontro: “le case di diritto pubblico – continuavano i pm - vengono gestite e assegnate da chi non ha l'autorità pubblica”, per controllare le strade e “umiliare i Baficchio cacciandoli di casa”. "La sentenza riconosce l'ottimo lavoro degli inquirenti. I cittadini hanno conferma che lo Stato è pronto a dare sostegno a chi denuncia le mafie radicate sul territorio", afferma Giulio Vasaturo, l'avvocato che rappresenta l'associazione Libera, costituitasi parte civile. "Questa è la vera mafia capitale. La regione Lazio è a fianco dei cittadini in difesa della legalità", commenta l'avvocato Luca Petrucci, che rappresenta la Regione Lazio.

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