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Grazie, ma anche no

Giorgio Almirante

L'onore non si rende con la toponomastica

Pietrangelo Buttafuoco
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Grazie, no. Il Comune di Roma vota un codicillo municipale per non intitolare strade ai fascisti e però anche no – grazie – non c'era da disturbarsi. L'argomento numero uno per dire no a via Almirante è appunto grazie, no. C'è un repugnante automatismo nella religione antifascista e perciò grazie, no. Si scatena la cagnara obbligatoria. Tutta in malafede, si sa, ma non si fece con Gianni Alemanno sindaco, la strada, perché mai deve farsi adesso? Grazie dunque, no. E sbaglia chi, a turno – nei recessi della burocrazia toponomastica – pensa di rendergli onore con una strada. Chi lo fa, fa un danno alla memoria di Giorgio Almirante. Offre la stura agli insulti. Perfino la targa dedicata a un ragazzo di 16 anni – Sergio Ramelli, ucciso a Milano – viene regolarmente lordata dagli eroi dell'antifascismo. Un rapper fa il ballo sopra le tombe di Redipuglia, le femministe – è successo lo scorso 8 marzo – profanano l'Altare della Patria scoperchiandosi le natiche davanti al Milite Ignoto, tutto può succedere nell'impunità del ludibrio autorizzato e si finisce sempre con gli appelli contro la via ad Almirante, i proclami di unità antifascista e i ricatti della memoria, accuratamente contraffatta manco a dirlo. Grazie, quindi. No. Perché lui e quelli come lui – una storia di appena ieri, tre milioni di italiani con la fiamma del Movimento Sociale – sono sconfitti, non sono falliti. Il fallimento del Comunismo nella storia, con Palmiro Togliatti, ha la sua strada. La sconfitta del Fascismo – piegato dagli eserciti di quattro continenti – no, ed è giusto così. Lui e quelli come lui – come Almirante, come Pino Romualdi, come Pino Rauti – non hanno bisogno di slarghi, di piazze e di cortili perché il blasone dei vinti si misura nell'eleganza del silenzio. E nella poesia. Il saluto romano è pur sempre quello di Ezra Pound quando scende la scaletta della nave, tornando in Italia, dopo il suo internamento negli Stati Uniti. È il saluto su cui indugiava Walter Chiari anche a teatro quando, guardando il pubblico, beffardamente sollevava il braccio e diceva: «Un saluto a quelli della Decima!». Qualcuno gli faceva il sopracciò – rischiava di non lavorare in Rai – e lui, ancora più beffardo, li canzonava: «…decima fila!». È il saluto di Paolo Signorelli, il vero custode di Roma – se Roma è davvero Orma Amor – cui non serve una via, un vicolo o una circonvallazione perché in ogni cespo d'Alloro e in ogni brindisi lui rivive. Grazie, no, perciò. E quella stessa fiamma, poi, ricordatelo, è lo stesso tricolore di Paolo Borsellino. Un altro sconfitto, uno contro cui – per tutto quell'amore che dava alla Patria – è stato necessario usare il tritolo.

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