L'interrogatorio choc di Luca Traini: "Ecco perché volevo vendicare Pamela"
Il 28enne di Tolentino autore della sparatoria a Macerata dopo l'omicidio della 18enne romana
«Non rinnego niente di quello che ho fatto. Io volevo colpire chi spaccia, come quello che ha venduto la droga a Pamela. Non è colpa mia poi se a Macerata tutti gli spacciatori sono neri». Sono passati tre mesi da quella mattina di straordinaria follia del 3 febbraio scorso, quando a bordo della sua auto nera Luca Traini ha tenuto in ostaggio per circa tre ore il capoluogo marchigiano, sparando dal finestrino una raffica di proiettili verso le persone di colore che incontrava per le strade della città. Domani, davanti alla Corte d'assise del Tribunale di Macerata inizierà il processo che vede imputato il 28enne di Tolentino per strage, tentato omicidio plurimo, porto illegale di pistola e munizioni, esplosione pericolosa in aria di colpi di arma da fuoco e danneggiamento: tutti reati aggravati «dall'aver commesso il fatto per ragioni di odio razziale – si legge nel capo d'imputazione – contro i cittadini stranieri immigrati presenti a Macerata e contro il fenomeno dell'immigrazione, in generale, che avviene in Italia». Traini ha cercato di «smontare» proprio questa aggravante nel suo ultimo interrogatorio del 6 febbraio nel carcere di Ancona (dov'è tutt'ora recluso). Con un ragionamento deduttivo ha voluto dimostrare che non è stato l'odio per le persone di colore ad armare la sua mano, ma l'odio per chi vende stupefacenti rovinando la vita ai giovani, fino alle estreme conseguenze che hanno portato all'omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa a Macerata il 30 gennaio all'interno di un appartamento abitato da un nigeriano, Innocent Oseghale. «Il mio non è stato un raid prettamente razziale. Non è che ho attaccato tutti i neri. Sconvolto dalla notizia del massacro di Pamela, ho rivolto la mia attenzione agli spacciatori. Se fossi stato spinto dall'odio razziale avrei colpito anche i negozi degli africani. Se poi tutti gli spacciatori sono neri, almeno a Macerata, quella è un'altra questione». Volendo, per assurdo, seguire questa folle logica da giustiziere, c'è comunque una falla evidente nel suo sillogismo: perché ammesso pure – come dice falsamente Traini – che tutti gli spacciatori a Macerata siano di colore, non tutte le persone di colore che vivono a Macerata sono spacciatori. E difatti, le vittime che ha ferito non hanno a che fare con lo spaccio. «Non rinnego niente di quello che ho fatto. Mi dispiace solo per la ragazza di colore. Io volevo colpire solo maschi dell'età dello spacciatore presunto uccisore di Pamela», ha spiegato il giovane di estrema destra. Durante l'interrogatorio ha precisato di essersi «estremizzato» nel 2015, a causa dell'arrivo massiccio di immigrati in Italia e per la gestione fallimentare delle politiche del lavoro: «In quel periodo forse ce l'avevo più con il Governo, che contro gli immigrati. Con i dazi messi da Renzi. Gli immigrati li vedevo come un contorno, come qualcosa che il Governo provocava. Tutto ciò ha fatto sì che l'ideologia politica che già mi apparteneva si sia estremizzata». L'avvocato Giancarlo Giulianelli, legale di Traini, domani chiederà ai giudici il rito abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica per dimostrare la sua incapacità di intendere e di volere, basandosi pure sul fatto che da piccolo Luca è stato vittima di bulli. «È iniziato tutto quando avevo 14 anni, a scuola. Mi incisi il numero 1 sulla mano con il portachiavi del motorino. Poi ci sono stati anni di silenzio e di emarginazione. Pesavo 116 chili a 16 anni. Ero preso di mira verbalmente dai bulli. Quindi avevo questo odio represso dentro, non dico per la società, ma per chi non mi accettava».